
Diario della terza gravidanza. Una pazza felicità, sei qui!
A tre mesi di distanza i ricordi del parto della piccola Micol. Una gravidanza segnata dalle normative per l’emergenza Covid19. La gioia è arrivata con un abbraccio a tre in ospedale, e fuori da lì sarà un abbraccio a cinque. Si conclude così il diario della terza gravidanza (qui tutte le puntate) sul blog di Dadabio
Natale è passato, il 2022 è cominciato e sono passati tre mesi da quando ci siamo strette fortissimo per la prima volta. Da quando ho sentito la tua pelle calda sulla mia, la tua testolina sul mio cuore impazzito per la gioia. Il tempo è letteralmente volato, e c’è da dire che la vita con tre figlie è più impegnativa di quanto pensassi ed ecco che mi ritrovo a scrivere dopo mesi il racconto della tua nascita.
Anche quei nove mesi sono volati. Gli ultimi giorni della gravidanza mi chiedevo quando arrivassi, perché non era già arrivato il momento, le giornate erano lunghe, allietate dalle domande delle tue sorelle e dai massaggi che mi facevano al pancione e alle gambe.
Sei arrivata al momento giusto e nel giorno giusto. Per questo dico a tutte le donne che devono partorire: non abbiate fretta e godete di ogni istante con il vostro dono più prezioso in pancia. Aspettate con pazienza perché quell’attesa è magica e non ci sarà più. All’improvviso poi avrete i vostri figli in braccio e non vi sembrerà vero.
Poco prima della data presunta
Avevo sempre sott’occhio le settimane scandite dal calendario della gravidanza che tutte le donne hanno sul telefonino… 38 e 1 giorno, 38 e 2, 38 e 3, 38 e 4, 38 e 5, 38,6 e scalpitavo e non ce la facevo più, la pancia pesava, la schiena a fine serata faceva male, tu ti muovevi tantissimo, Ester e Clarissa mi chiedevano insistentemente: “Nasce oggi?”. Le persone che incontravo chiedevano: “Quanto manca?”. E io ogni notte, quando mi mettevo a letto, pensavo tra me e me, sarà la nostra notte, mi darai un segnale e correrò in ospedale.
Un urlo di gioia
Era sabato e sono uscita di mattina con mia mamma e le bimbe e di pomeriggio sono stata a casa. Avevo desiderio di spezzatino e mamma ha comprato tutto per prepararlo la domenica a pranzo. Poi arriva la notte e non riesco a dormire, sto sveglia due, tre ore poi crollo in un sonno profondissimo e riposante e quando mi sveglio con il sottofondo della voce di Ester che chiede: “Oggi andate al lavoro?”. E il papà risponde: “No, amore oggi è domenica”. Mentre apro gli occhi e prendo il cellulare per vedere l’ora, 8,17, dopo qualche secondo sento un liquido caldo scendere e capisco subito. Attendo questo momento da giorni. Rottura delle membrane. Scappo in bagno urlando di felicità: “Amore, mamma, venite, ho rotto le membrane”. E urlando un forte: “sììì! Prepariamoci e andiamo”. Era domenica 3 ottobre, una giornata bellissima e soleggiata.
Ho fatto la doccia e con mio marito sono andata in ospedale dopo aver fatto l’ultima foto con la pancia e le mie principesse. Il Buccheri La Ferla era avvolto da un velo di tranquillità insolito, chi ha partorito lì prima del Covid sa a cosa mi riferisco, quasi a volermi dire che tutto e tutti si sarebbero presi cura di noi; è un ospedale familiare, sono nate lì anche le mie prime due bimbe.
Affidarsi all’ostetrica
Trovo con piacere il mio ginecologo che mi visita… tutto bene, qualche contrazione sporadica, la bimba sta bene. Conosco il mio corpo e so che ancora passerà qualche ora. Così è stato. Rimango sotto tracciato per le prime ore della mattina, dove incontro Morena che è arrivata un’ora prima di me, provo a scambiare qualche parola, ma lei è sofferente in preda ai dolori e di poche parole, finiremo nella stessa stanza, e con noi ci sarà anche Dorotea. Mie compagne di viaggio perché i primi giorni con una nuova creatura accanto, da sole, senza l’aiuto di mamme e zie (come accadeva prima della pandemia) è proprio un lungo viaggio. Mi danno la camera numero 4, mi sistemo, prendo possesso del letto e intanto mando qualche sms ad amici e a parenti. Ho il tempo di fotografare la veduta dalla finestra: di fronte la chiesa, alla mia destra il mare, quel mare che ha dato il benvenuto alle mie bambine appena nate. Sono serena. Le contrazioni incalzano e vado in sala parto. Incontro la mia ostetrica, anzi la nostra. È Rosalia, parliamo un po’, iniziamo a conoscerci, le racconto che ho un bellissimo ricordo dei parti precedenti e che vorrei fosse così anche per il terzo, facendole capire che mi “af-fido” a lei.
Rimango sola
Una domenica pomeriggio di tranquillità ma in un ospedale la situazione può precipitare all’improvviso soprattutto quando si parla del reparto dove la cicogna è di casa. Rosalia mi visita e mi dice: “Sei a due centimetri di dilatazione, è ancora poco”. Poi arriva un’urgenza, un parto cesareo di una donna in attesa di due gemelli, così la “mia” ostetrica va via e mi anticipa che sarebbe mancata per un po’. Rimango sola nella sala dove ci sono la vasca per il parto e lo sgabello svedese con la palla, entra ed esce un ostetrico che mi visita e mi dice che la situazione è stabile, nonostante le contrazioni siano forti e ravvicinate. Inizio a soffrire abbastanza e sono speranzosa perché sia Ester che Clarissa sono nate dopo un travaglio rispettivamente di tre ore e due. Ma mai fare paragoni! Intanto non c’è mio marito che di solito è accanto a me. L’emergenza Covid ha imposto regole bruttissime per una donna che sta per partorire. Ci sentiamo al telefono, è fuori, adesso in attesa anche lui. Aspetto che lo facciano entrare. Dopo qualche ora sento la stanchezza e fare il confronto con gli altri parti non mi aiuta perché le tre ore di riferimento sono già passate. Mi alzo dalla poltrona dove vengo monitorata, sto in piedi, faccio due passi aiutandomi con la respirazione e accovacciandomi quando non ce la faccio, qualche movimento col bacino quando arrivano le contrazioni che non lasciano fiato, serrate e sempre più forti, ma sono felice perché so che fra poco abbraccerò la mia piccola. Forti crampi all’addome e alla schiena, respiro e chiudo gli occhi aspettando che passi. Mi fa compagnia il suono del cuoricino, avete presente quel rumore simile a un galoppo e il bip del monitor che segna l’intensità delle contrazioni.
Non sono più sola
A un certo punto torna Rosalia e mi rincuoro, mi visita ma sono sempre a due centimetri di dilatazione dice: “Non è ora di spinte” e mi scoraggio, non ci posso credere, penso al peggio per me, ovvero un cesareo, se qualcosa non fosse cambiata da lì a poco, ho avuto due parti naturali stupendi, sarebbe una beffa un cesareo alla terza figlia. Il 3 ottobre si festeggia la Madonna di Pompei, a lei rivolgo le mie preghiere, mi affido a lei con il cuore. Non ho più la forza di mandare messaggi a mia sorella e alla mia famiglia per dare notizie. È ora dedicarmi solo a noi, fare lo sforzo finale di quell’attesa che ha avuto un sapore dolcissimo, unico grazie alla presenza di Ester e di Clarissa che l’hanno vissuta con me e mio marito, con la consapevolezza delle loro poche stagioni. Intanto Rosalia mi aiuta, mi tranquillizza, mi visita e mi incoraggia e soprattutto fa entrare mio marito. Questo è un momento bellissimo, non mi sento più sola, vederlo mi fa capire che potremmo essere vicini all’arrivo di nostra figlia e la sua presenza mi dà tanta sicurezza. Mi stringe la mano, mi dice: “Forza Amore, manca poco”. Quel poco mi sembra troppo. La cognizione del tempo quando si sta per partorire sfugge. Sono sofferente, tanto, mi sembra di non riuscire a farcela, di non sapere spingere più. Così l’ostetrica mi ricorda che è importante spingere a bocca chiusa. Sento che le contrazioni sono quelle giuste, quelle delle spinte finali. L’equipe indossa i camici verdi e, ripeto a me stessa, in una pausa dalle contrazioni, buon segno, fra poco vedrò mia figlia. Sono sfinita, la sento sempre più vicina a me e sento allontanarsi le fitte, che lasciano spazio solo alla forza per metterla al mondo.
Respirare e pregare…
Respiro e prego, respiro e prego. Mi concentro sulla respirazione, Rosalia dice: “C’è la testa”. Parole più belle le mie orecchie non possono udire, il dolore delle contrazioni passa, non c’è più, fatico a spingere, ma so che è l’unica cosa da fare e bisogna fare bene, fra me e me chiedo: “Anche le altre volte è stato così difficile?”. Mio marito mi tiene la testa, mentre accolgo la doglia e spingo seguendo la voce di Rosalia. Poi mi fanno togliere la camicia, rimango nuda, non mi chiedo nemmeno perché, sono concentratissima ad accogliere il mio fagottino. Con le mani tocco la sua testolina fuori dal mio corpo, quei capelli umidi e morbidissimi mi danno la carica. A quel punto accade la cosa più bella che desiderassi, in cuor mio, ma di cui nella chiacchierata fatta all’inizio con l’ostetrica non avevo fatto cenno. Lo avevo detto al mio ginecologo Roberto, che ringrazierò sempre, che avrei voluto la mia bimba poggiata sul petto per un po’, ma in quei momenti si rimuovono tutti i pensieri e i programmi vengono letteralmente sconvolti. Adesso, l’esperienza dell’ostetrica fa la differenza, lei sceglie la cosa più giusta per me.
La fine e un inizio senza fine
Rosalia dice: “Bravissima, non ti fermare, già piange”. Poi: “Ci siamo, c’è la mano” e con naturalezza aggiunge: “Prendi tua figlia, prendila, ti aiuto io. Spingi e prendila”. Le mie mani tremano, sfioro mia figlia, cerco di afferrarla mentre spingo e all’improvviso lei lascia le mie viscere e si abbandona fra le mie mani, la tiro verso di me e la adagio sul mio petto. Un fuoco mi scalda, una grande emozione mi fa tremare la voce. Tremo tutta. È il momento più bello della mia vita coniugale. “Non ci posso credere”, inizio a dire ripetutamente, “Sei qui”. Ecco Micol, piange e io la accarezzo e la amo già più di tutto. Siamo in tre abbracciati e fuori dall’ospedale saremo in cinque. Che gioia! Siamo stati pelle a pelle per un po’. Non dimenticherò mai quei momenti. E per la terza volta mi sento eterna.
Luci che emozione mi hai fatto venire i brividi!!! Sei stata bravissima. Siete una famiglia meravigliosa.
Sei stata meravigliosa a viverla e a raccontarla mi hai fatto commuovere
😃
Il tuo ricordo e le tue emozioni saranno per sempre anche le nostre!
La bellezza del tuo resoconto mi ha fatto commuovere